«Nessuno mi ridarà indietro Giulia, non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri. È chiaro che è stata fatta giustizia, ma dovremmo fare di più come esseri umani. E la violenza di genere va combattuta con la prevenzione, non con le pene». Queste le parole di Gino Cecchettin subito dopo la sentenza del 3 dicembre che ha condannato all’ergastolo Filippo Turetta per l’omicidio della figlia.
Solo pochi giorni fa Cecchettin, in collegamento da Padova, aveva partecipato ad un emozionante dialogo voluto dal Dispes Unical e con la compostezza, la razionalità e la profondità che lo caratterizzano, aveva risposto agli interrogativi di docenti, studentesse e studenti, regalando ai presenti preziosi insegnamenti. Oltre un’ora tra quesiti, riflessioni, applausi e commozione; chi ha posto le domande l’ha fatto in punta di piedi, col timore di riportare alla luce quel dolore troppo forte che lui ha conosciuto.
Tra le prime questioni sollevate, poiché prioritaria, l’educazione: è necessario educare gli uomini, i ragazzi, i bambini che saranno ragazzi e poi uomini. Tra gli obiettivi della Fondazione Giulia Cecchettin figura l’inserimento nei programmi scolastici di un’ora di educazione all’affettività– le modalità mediante le quali la Fondazione si impegna a contrastare la violenza di genere e a promuovere la parità sono puntualizzate nello Statuto–.
La spontanea e inevitabile domanda di molte e molti: com’è possibile non provare rabbia, desiderio di vendetta, rispetto a quanto accaduto? Com’è possibile non odiare? Tra gli insegnamenti che Giulia gli ha lasciato, il signor Cecchettin ne ricorda tre: l’arte di saper lasciare andare le cose, dedicarsi agli altri in modo totale senza pretendere nulla, vedere la bellezza e dare anima a qualsiasi cosa nel mondo che ci circonda. Proprio quest’ultimo insegnamento si è rivelato fondamentale: il sorriso di Giulia, ritratto nella bellezza di una fotografia, è stato la motivazione a non mollare, a non cedere al rancore e al negativo.
In piena coerenza con la sua pacatezza, Cecchettin sottolinea quanto sia importante la non violenza, nelle reazioni, nelle azioni, nelle manifestazioni, nel combattere il male che gli ha portato via Giulia.
Menziona poi i 15 motivi scritti da Giulia per lasciare Filippo Turetta, in risposta a chi chiede quali possano essere i segnali d’allarme di una relazione tossica, di una situazione di pericolo: è difficile rispondere, elencare i sintomi, affrontare l’argomento. A chi invece gli domanda se sia credente e quale sia stata eventualmente l’evoluzione della sua fede, risponde in tutta onestà di essere agnostico e afferma di condividere i valori del Vangelo; tuttavia, evidenzia la difficoltà a credere a un Dio buono, trovandosi di fronte a un Dio che punisce i buoni e non i cattivi.
“È come respirare con un polmone solo”: così descrive la sua vita da quando Giulia non c’è più, una vita sconvolta, una quotidianità da reinventare. Si dichiara privilegiato ad aver avuto accanto Giulia per 22 anni, riconoscendo che non potrà essere lo stesso per Elena e Davide, i figli, che hanno più tempo da vivere, più anni da trascorrere senza Giulia, e senza la madre, persa un anno prima.
L’incontro lascia emozioni fortissime e messaggi precisi: sensibilizzare, educare ed educarsi, parlare della storia di Giulia e delle storie analoghe, con la speranza che presto non ce ne siano più da raccontare, decostruire il patriarcato– che esiste, a differenza di quel che qualcuno crede e afferma–, lottare: ¡Nos queremos vivas!
Con rispetto e occhi lucidi il saluto, tutte e tutti in piedi, a Gino Cecchettin, che sarà sempre il papà di Giulia.
Anna Raspa