Ricercatrice, attivista, studiosa dei movimenti ecologisti in chiave intersezionale: Paola Imperatore è autrice di Territori in lotta e co-autrice con Emanuele Leonardi di L’era della giustizia climatica. Ospite del podcast Piazza Europa, Imperatore ha parlato delle comunità in lotta che cercano di restituire dignità ai loro territori, violati in nome del neoliberismo. A lei abbiamo chiesto di commentare la sentenza, inappellabile, della Corte europea dei diritti dell’uomo che obbliga la Svizzera ad adeguare le proprie leggi in materia di effetti climatici stabilendo così per la prima volta un nesso, oltre che un precedente giuridico per i paesi membri del Consiglio d’Europa, diritti umani e effetti negativi del riscaldamento globale.
Una sentenza che sicuramente apre uno spazio di riconoscimento anche nell’ambito giuridico. Anche in Italia, come le Klima Seniorinnen in Svizzera, moltissime associazioni hanno portato in tribunale tali problematiche: mi riferisco alla causa che si chiama Giudizio universale e quindi questo è uno spazio di lotta che si sta aprendo. Di sicuro il tema della giustizia climatica non si risolve in un tribunale poiché l’orizzonte di senso della giustizia ambientale è molto più profondo visto che interseca anche i temi della giustizia sociale, della parità di genere, del razzismo e di molte altre forme di oppressione. Questo riconoscimento ovviamente è importante, nonostante auspichiamo più impegno da parte di istituzioni e politica. Di sicuro tale riconoscimento apre uno spiraglio in tema di giustizia climatica. Il nesso tra giustizia climatica e diritti umani porta anche un’altra importante vittoria intrinseca in questa sentenza: il fatto di capire che la questione ambientale non è un tema tra gli altri, non è un settore d’intervento politico, ma riguarda la nostra vita quotidiana. La possibilità di respirare aria pulita, di bere acqua incontaminata e di mangiare cibo sano, lavorare in condizioni idonee ha a che vedere con la nostra possibilità di sopravvivere. Questa sentenza va in questa direzione e si spera che indichi la strada ad altri tribunali e ad altri spazi di riflessione.
In Territori in lotta nella disamina dei movimenti di lotta ecologista e sociale, le battaglie dei movimenti sociali diventano convergenti e trasversali nonostante la loro eterogeneità: come ritrovare unità nella lotta al neoliberismo?
Del neoliberismo una delle sue armi più potenti in questi decenni è stata quella di far percepire come individuali i problemi che erano collettivi, atomizzare e quindi sgretolare la società. Questo ha portato ad una frammentazione anche delle battaglie politiche. Ciò ha nociuto anche alle stesse persone: percepiamo a livello individuale una fatica a riconoscerci parte di una collettività, di una unità che condensa al proprio interno la condizione di abitanti del pianeta, o di uno specifico territorio, di potenziali pazienti che hanno bisogno del sistema sanitario, di lavoratori e lavoratrici che hanno bisogno di eguali diritti e quindi percepiamo queste condizioni come divise. Di fronte a questa frammentazione la risposta, l’antidoto più efficace è la comunità. La comunità è per sua natura il luogo della complessità ed essendo il luogo della relazione riesce a costruire delle sinergie tra bisogni che ogni persona esprime e tra le lotte che si portano avanti. In questo senso negli anni l’università essendosi dotata di strumenti di analisi e di critica intersezionale, strumento di lettura molto potente e credo che far calare questo strumento nella realtà, in processi reali sia necessario.
“La risposta alla crisi ecologica non può essere delegata alle Istituzioni che in questi anni l’hanno prodotta. Le comunità locali devono riprendersi il diritto di scrivere la propria storia”, affermi: come, alla luce delle linee imposte dalla autonomia differenziata, le comunità locali possono risollevarsi attraverso la green economy e ricostruire un divario col nord ormai così strutturato?
Ritengo che l’autonomia differenziata istituisca una condizione di asimmetria in termini di diritti, non mi sembra uno strumento a disposizione delle comunità, ma il contrario. Va invece a cristallizzare delle differenze. Riprendersi il diritto a scrivere la propria storia non significa scriverla secondo le condizioni imposte da qualcun altro, né per il caso del Sud che risulterebbe ancora più svantaggiato, cercare rincorrere un modello di sviluppo come quello del nord, rispetto al quale si è dovuto confrontare negli anni come se si dovesse riprodurre ciò che avveniva al nord. Credo che questo modello di sviluppo oggi non può fare da esempio, sarebbe fallimentare da tutti i punti di vista: sociale, economico, umano, ambientale. Privatizzare, ad esempio il sistema sanitario, non può essere la risposta. Bisogna trovare soluzioni a partire dalle proprie esperienze, partendo dal basso e chiedendosi di cosa si abbia bisogno.
Con Emanuele Leonardi hai pubblicato il saggio L’era della giustizia climatica che segnala proprio “la progressiva disintegrazione della governance climatica transnazionale guidata dalle Nazioni unite”, mentre il new green deal da opportunità si è trasformata in scambio elettorale: quale futuro per l’Europa a pochi mesi dal voto?
Post pandemia si era aperto uno spazio di discussione con il green deal, ma, nonostante contraddizioni e problematiche, si è richiuso subito. Da febbraio 2022 viviamo una involuzione drammatica e due questioni più di tutte incombono: la guerra che come abbiamo visto in questi due anni porta ad un ritorno al fossile e poi le prossime elezioni e i conseguenti spazi che le destre riusciranno ad occupare nel parlamento europeo. In questi anni le destre hanno dimostrato la capacità di ostacolare il green deal non solo osteggiando queste politiche, ma riuscendo ad ottenere consenso intorno ai cosiddetti sconfitti della transizione ecologica, quelle persone che hanno subito questa transizione calata dall’alto subendo contraddizioni sociali. Questo è uno scenario aperto che andrà a disegnare il futuro dell’Europa.
Il nesso tra clima e migrazioni è noto e in tema di politiche europee è estato approvato pochi giorni fa il patto di migrazione e diritto d’asilo che di fatto inasprisce le norme e chiude i confini.
Di fronte a un problema climatico che sta scoppiando, la reazione che si sta avendo sia a destra che a sinistra è quella di costruire una fortezza e di alzare ancora di più i muri di questa Europa. Il cambiamento climatico sta diventando il volano di tutte le ingiustizie e lo sta diventando sempre più in maniera strutturale. Per questo è fondamentale il protagonismo dei movimenti sociali, della società civile, del sapere universitario e di molti altri soggetti per costruire una società diversa proprio perché la società non è in grado di rispondere a questi problemi, anzi li costituisce, dopo di che prova a difendersi innalzando paletti e criminalizzando chi migra, chi è povero, chi prova a lottare per migliori condizioni di vita.
sdm