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Il voto “impolitico” dei calabresi nell’analisi amara degli esperti Unical

Il voto dei calabresi dopo le consultazioni di domenica 26 gennaio si conferma volatile, disilluso, utilitaristico, impolitico. Il giudizio dell’Osservatorio politico-istituzionale del Dispes Unical, che analizza i flussi elettorali nella regione da oltre 35 anni, è netto e impietoso, specie se rapportato alla grande lezione di partecipazione civica e democratica offerta invece dall’Emilia Romagna. “Perché qui votiamo meno?” chiede Piero Fantozzi in apertura, riferendosi alla deludente percentuale di affluenza calabrese al voto. Una percentuale che in termini assoluti è pari al 44%, ma che al netto degli iscritti all’Aire (i residenti all’estero, di cui la Calabria è particolarmente ricca), si ferma comunque al 54%, un dato molto distante dal 67% raggiunto dall’Emilia grazie alla mobilitazione popolare. La tesi dello stesso Fantozzi è che questo dipenda dalla mancanza in Calabria di una certa cultura politica, quella del partito di massa: “senza radicamento, senza mobilitazione, senza organizzazione, è difficile governare”.
“E’ mancato il fattore doppia S, Sardine e Salvini” gli risponde Mimmo Cersosimo, che parla di una mobilitazione “differente” in Calabria, legata non alla politica, ma ai candidati. “I voti di preferenza sono determinanti” lo anticipa Roberto De Luca, dimostrando come in alcuni comuni, specie nei più piccoli, il voto si sposti insieme ai transfughi, da sinistra a destra, o viceversa, scientificamente. “Non esiste una società civile critica e indipendente in Calabria – rincara Antonello Costabile – anche le liste civiche qui sono poco civiche e molto clientelari”. Tornando all’Emilia, secondo Costabile, non bisogna dimenticare che il crollo dell’affluenza al 37% delle scorse regionali, era stata una risposta civica contro lo scandalo di rimborsopoli. Lo stesso scandalo che dalle nostre parti ha avuto tante reazioni ma poche conseguenze concrete.
La Calabria non regge il confronto con l’Emilia, sbagliata anche tecnicamente, secondo Guerino D’Ignazio, la decisione di porsi “nel cono d’ombra dell’Emilia”, decidendo di votare a fine gennaio. Sbagliata la tempistica, che non ha favorito il ritorno dei fuorisede a poche settimane dalle vacanze natalizie, sbagliata la legge elettorale: soglia di sbarramento troppo alta, senza voto disgiunto, senza preferenza di genere. Su quest’ultimo punto si sofferma Giovanna Vingelli: una legge simile, che non prevede alcuna forma di riequilibrio di genere (uniche regioni Calabria e Piemonte) nonostante la battaglia delle donne a fianco di Flora Sculco, ha comunque portato all’elezione di una donna governatrice, la prima donna presidente della Regione Calabria. “In un contesto in cui né le regole né i programmi parlano il linguaggio delle donne” sottolinea Vingelli. Nella lettura della sociologa, la leadership femminile a destra è in linea con il panorama nazionale ed europeo, a differenza della sinistra che continua ad essere miope rispetto alle potenzialità delle donne in politica. 
Sulla “pulsione autodistruttiva della sinistra” si era soffermato anche Cersosimo, ricordando che in un quadro simile la Calabria resta appesa a un procuratore, mentre la Calabria normale, che pure esiste, non viene rappresentata. “Sottorappresentazione della normalità” la chiama così l’economista titolista, restituendoci quel senso d’impotenza misto a rabbia e rassegnazione che precede e segue ogni tornata elettorale.

Daniela Ielasi

FaC

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