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La memoria difficile di Peppino Impastato in un libro curato dai suoi compagni

“I giovani di oggi sono sempre più chiusi nell’individualismo, hanno perso la capacità di ascoltare e fare comunità, negli anni Sessanta e Settanta crescevamo e ci costruivamo insieme grazie al costante confronto l’uno con l’altro”. Questo è il pensiero di Pino Manzella, curatore del libro “Peppino Impastato. La memoria difficile” presentato il 16 marzo scorso al DAM dell’Unical, un messaggio che vuole essere una critica ma anche un incoraggiamento per le nuove generazioni a “trasformare il personale in politico”, come si diceva un tempo.

Il libro nasce come prosecuzione di “Io non Ritratto – Peppino Impastato, una storia collettiva”, mostra fotografica dell’associazione AsaDin, che ha portato alla raccolta di 39 testimonianze, fra compagni di giochi e di lotta che hanno condiviso con Peppino un pezzo del loro vissuto. “Ogni volta che si fotografava qualcuno – racconta Caterina Blunda – la voglia di ricordare Peppino e di raccontare i tanti aneddoti legati alla sua figura risultava urgente e necessaria. Da questi ricordi si evince la complessità della storia di Peppino Impastato”. Come pezzi di un puzzle che si intersecano, gli eventi personali raccontati nel libro si incastrano perfettamente per restituire un quadro completo del profilo di Peppino, uomo amato e impegnato, mai eroe solitario ma da sempre e per sempre parte di una storia collettiva. 

Ne viene fuori un ritratto fedele di un uomo giocoso, dedito alle lotte sociali alle quali si dedicava senza perdere mai di vista la leggerezza. Un ritratto ben diverso da quello restituito dal film “I cento passi”, che invece romanza e cuce su Peppino abiti che non ha mai indossato, come quelli dell’eroe antimafia, scivolando in falsi storici e in una distorsione del passato che viene aspramente criticata dai presenti. “Eravamo stanchi di chi considerava il film un documentario” ammette Manzella, e l’intenzione del libro è quella di riportare alla luce la verità, far scendere l’eroe dal piedistallo per riportarlo tra gli uomini, renderlo raggiungibile, alla portata di tutti, poiché ognuno di noi può emularlo. 

Per i giovani di Cinisi dal 68 al 78 il personale è politico, tutte le scelte fatte sono scelte politiche, credono veramente nella possibilità di cambiare le cose. Siamo in un piccolo paese in cui ci si conosce tutti e la mafia è presente in quasi tutte le famiglie: è doppiamente difficile per un giovane vestire i panni del ribelle in un contesto simile. Per non parlare delle ragazze. E’ Marcella Stagno a ribadire l’estenuante pressione data dalla famiglia e dalla gente di paese su chi non voleva omologarsi e chiedeva un cambiamento; racconta del collettivo femminista, nato dalle discussioni quotidiane in casa, dallo scambio di esperienze personali e supportato da Peppino che cercava di aiutare anche economicamente nelle spese di gestione. Chi faceva parte del collettivo era additata come “puttana” solo perché parlava di parità di genere, divorzio e aborto. Marcella ricorda vividamente il giorno del comizio in piazza a Cinisi, con gli uomini di Badalamenti in prima fila e la paura, meno forte della voglia di lottare insieme per un mondo migliore. La presenza femminile nella storia di Peppino Impastato è fondamentale, perché è proprio dalla madre Felicia che lui prenderà la sua determinazione, e anche dopo l’omicidio del figlio è grazie alla denuncia coraggiosa di Felicia che vengono avviate le indagini sulla morte. Indagini che, lo ricordiamo, porteranno ad una sentenza di condanna solo nel 2002.

“Tano Badalamenti era un vaccaro – aggiunge Carlo Bommarito – noi non abbiamo mai creduto che la morte di Peppino sia stata solo opera sua”. Quella sottigliezza di far sembrare Peppino un terrorista e quella “coincidenza” con l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, proprio lo stesso giorno, il 9 Maggio 1978: nessuno potrà mai dimostrarlo, ma anche la fine di Peppino non si può comprendere fino in fondo se estrapolata dal contesto, dal periodo storico, dall’intreccio fra politica, mafia e servizi segreti che ha caratterizzato quella fase. 

Marzia Ruh

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