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Naufragio di Cutro, sit-in della Rete 26 febbraio per chiedere verità e giustizia

Quattro anni e sei mesi. Questo è il tempo che ha impiegato Alidad per arrivare in Italia dall’Afghanistan: quattro anni e sei mesi, quando un aereo diretto impiegherebbe sei ore appena. Alidad oggi è a Crotone perché cerca il cugino di soli 17 anni, disperso in mare dopo il naufragio del 26 febbraio scorso. Durante il sit-in davanti la Prefettura di Crotone, chiamato dalla “Rete 26 febbraio” (che ha già superato le 200 adesioni), prende il microfono per ringraziare i cittadini e per chiedere vie legali di accesso in Europa, dove gli afgani avrebbero diritto d’asilo.

Accanto a lui c’è Manuelita Scigliano, presidente dell’associazione Sabir e portavoce del Forum Terzo Settore di Crotone. Nel vuoto politico e amministrativo che si protrae da una settimana, difronte all’immobilismo della Prefettura e nell’assenza della Protezione Civile o di qualsiasi unità di crisi o cabina di regia, c’è solo il terzo settore a dare supporto ai familiari delle vittime. “Noi diciamo basta morti in mare, lo diciamo non solo come operatori sociali ma come genitori, come persone. Le morti si prevengono garantendo vie legali d’accesso e salvando i naufraghi, non colpevolizzando le vittime e le madri che hanno lasciato i loro figli partire”.
Oggi i familiari chiedono due cose: da una parte documenti, informazioni e tempi certi per poter seppellire i loro cari, dall’altra che le ricerche dei dispersi non si fermino. A sostenere la loro richiesta ci sono associazioni e singoli provenienti da tutta la Calabria. C’è la rete Dire, con la presidente Antonella Veltri, che chiede le dimissioni dei ministri Piantedosi e Salvini, per le responsabilità politiche legate ai mancati soccorsi. C’è il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università della Calabria, con il suo direttore Giap Parini, che garantisce supporto professionale da parte dei docenti per qualsiasi necessità.
C’è la comunità curda in Italia, con il portavoce Talip Heval. “Io sono arrivato su queste stesse coste seguendo la stessa rotta ormai 24 anni fa – racconta Talip – sono partito dalla Turchia pagando un generale non un trafficante”. C’è Bobo, storico attivista pugliese, a ricordare il campeggio antimilitarista di oltre trent’anni fa a Isola Capo Rizzuto, preludio alla militarizzazione delle coste e del mar Mediterraneo. C’è l’Arci di Crotone con il suo presidente Filippo Sestito e i ragazzi di Radio Barrio, in prima linea a documentare il naufragio dalle prime ore. Da Cosenza è arrivato un pullman organizzato da La Terra di Piero e La Base. 

Quando il sit-in si conclude, al grido di “Assassini, assassini”, qualcuno fa tappa al Palamilone dove è stata allestita la camera ardente con le 70 bare dei corpi finora recuperati. Non tutte le salme sono state identificate, ma la maggior parte dei migranti provenivano da Afghanistan, Iran e Pakistan. L’ingresso non è consentito, una disposizione incomprensibile impedisce di portare le condoglianze ai parenti, far sentire loro la vicinanza di tanti calabresi giunti da ogni parte della regione. Fuori c’è comunque un muro di fiori, di cartelli colorati dai bambini delle scuole, di messaggi, di giocattoli, di lumini accesi nonostante la pioggia, a testimoniare che questa tragedia tocca nel profondo e che non può passare come una disgrazia.
Per sabato prossimo 11 marzo è stata annunciata una manifestazione nazionale. “Per chiedere verità e giustizia sulla strage di Cutro e su tutte le stragi di migranti. Per dire no alle passerelle del governo e di chi ha costruito il suo consenso criminalizzando i migranti e i salvataggi in mare, usando parole disumane e colpevolizzando le vittime. Per fermare la criminalizzazione delle ONG e dei salvataggi in mare. Per la creazione di canali di ingresso legali e sicuri. Per la fine di ogni politica discriminatoria verso i migranti”.

Daniela Ielasi

FaC

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