Il tecnico in divisa cosparge di segatura la scena ne segna un cerchio con i piedi e una “X” al centro, le luci in platea rimangono accese, la regia è posizionata su un lato del palcoscenico. Nell’immediato l’impatto è metateatrale all’inizio di “Rabbia”, lo spettacolo ventennale di Pippo Delbono dedicato a Pierpaolo Pasolini, in scena al Teatro Auditorium dell’Unical lo scorso 16 febbraio. Il cinema poetico pasoliniano e il teatro cinematografico di Delbono si contaminano per fondersi in una costruzione sequenziale di poesia, musica e danza dai rimandi onirici come lo stesso regista spiega citando una frase del film di Pasolini “Il fiore delle mille e una notte”: “La verità non sta in un sogno, ma in molti sogni”.
Il cinema muto di Chaplin, la poesia di Rimbaud, le preghiere del Vangelo, i testi di Pasolini si animano per immergersi in scenari di vita che ci appartengono, ora nel sociale, ora nell’intimo, come la frase ripetuta da Delbono “dimmi che mi ami”, scandita a volte con implorazione e violenza, per poi celarsi, in altri momenti, di una pudica tenerezza. Gli attori sul palco (Piero Corso alla chitarra, Pepe Robledo, Vladimir Luxuria e Pippo Delbono) ai limiti dell’insolito si distaccano dalla recitazione per avvicinarsi alla vita, ricerca tipica di Delbono e nel cinema e in teatro, che per certi versi rimanda al neorealismo del Secondo Dopoguerra mentre per altri ne segna i tratti pasoliniani, per mescolarsi in dissonanze sempre attuali e visionarie (una Luxuria vestita di paillettes entra dal fondo della scalinata del teatro e sulle note di “Tanti Auguri” della Carrà comincia a esibirsi nel tipico balletto, mentre sullo sfondo un uomo viene torturato da un carnefice nazista).
Nel teatro di Delbono le parole diventano sempre una ricerca linguistica, “c’è un altro tempo rispetto al cinema – racconta lui stesso dietro le quinte del Teatro Auditorium a fine spettacolo – nel cinema capita che arrivi in campo rom e trovi qualcosa che può diventare il film, in teatro, lavoro di grande tecnica, trovi un movimento ma metterlo in scena richiede un lungo lavoro, cioè la scena la costruisci col tempo. In teatro le parole diventano musica, diventano canto. Il teatro è un rito, quindi non bastano le idee”.
Eppure “Rabbia” sembra costruito su sequenze, proprio come nel cinema: “Un po’ in tutti i miei spettacoli io guardo le scene come se fossero inquadrature: montaggio, sequenze, primi piani e piani lunghi. Forse in questo spettacolo più che in altri – ammette l’attore-regista – mi piace che le cose nascano, vivano e muoiano, poi rischio, perché fondamentalmente è spietato questo montaggio, basta un attimo di distrazione per perderne la poesia. È una composizione, anche un po’ vicina alla musica”. E il finale festoso di “Rabbia” sembra echeggiare un altro capolavoro cinematografico quello di “Otto e mezzo” di Fellini, d’altronte l’incontro tra testi e generi diversi caratterizza tutta l’opera artistica di Delbono.
Prossimo appuntamento al Tau venerdì 20 con “Il sangue” un concerto drammatico che vede Pippo Delbono affiancato dalla straordinaria voce di Petra Magoni. Sono invece in corso una serie di sopralluoghi che Delbono sta eseguendo nel territorio calabrese in occasione del suo prossimo film titolato “Vangelo”, al quale hanno preso parte alcuni studenti dell’Ateneo, che vede l’Unical partecipe in forma co-produttiva.
Valeria Bonacci