Scalea – “Vogliamo gli ospedali” è la frase piena di rabbia di quanti in questi giorni stanno manifestando a Scalea. Un corteo di macchine ha invaso la città nel terzo giorno di proteste pacifiche. Le manifestazioni sono indette da un gruppo di giovani autorganizzati, che hanno trovato spazio sulla piattaforma Facebook, creando un gruppo denominato “I disobbedienti”. Presto la rivolta si è estesa a tutta la cittadina, ed è chiaro come il messaggio che si vuole lanciare non è contro la zona rossa od il nuovo DPCM, l’obiettivo è sensibilizzare sulla malasanità calabrese, i continui tagli e la cattiva gestione in oltre dieci anni di commissariamento. La pandemia ha messo in ginocchio città e province, e ovunque si denuncia la mancanza di strutture sanitarie dislocate nella regione.
In realtà, gli ospedali ci sarebbero, e anche ben disseminati sul territorio: solo sulla costa alto tirrenica cosentina se ne contano tre, Praia, Scalea e Cetraro, ma i primi due sono praticamente chiusi. Il commissariamento della sanità regionale ha, ad oggi, operato solo tagli nel settore, che hanno indebolito notevolmente l’assetto, ed i pochi reparti aperti sono a corto di personale.
A Scalea, sulla località più alta della città e con una vista mozzafiato, sorge l’ospedale ora adibito ad Asp per il territorio. Un investimento di 20 miliardi di vecchie lire, a cui vanno aggiunti i vari finanziamenti per recuperare una struttura che giace quasi del tutto inutilizzata. Avrebbe dovuto contenere tutti i reparti ospedalieri, in una città che vede il proprio boom di presenze con il turismo estivo. Previsti laboratori specialistici, guardia medica ed un servizio del 118. I lavori di costruzione sono stati ultimati alla fine degli anni ’80, ma la struttura, già attrezzata, non è mai stata aperta.
Nei vent’anni che separano la fine dei lavori dalla riconversione in Asp nel 2002, l’ospedale è stato soggetto a furti e vandalismo: sono spariti così gli infissi, i sanitari, i gruppi elettrogeni ed addirittura i controsoffitti dei cinque piani. Ma qualcosa è rimasta: sono le attrezzature, tutte ancora imballate negli scatoloni del trasloco, pronte per essere utilizzate. E’ a tutti gli effetti lo scheletro di ciò che poteva essere, ma che non è stato. A dirla tutta, non hanno mai trovato neanche un nome da dargli, e le sue porte si sono aperte solo per dare spazio al primo piano all’Azienda Sanitaria Provinciale.
Scalea non è l’unica cittadina in protesta, anche la vicina Praia a Mare presenta una situazione simile: l’Ospedale Civile della città, una struttura immensa arroccata sopra il golfo del Cilento, ha subito una serie di tagli ai reparti fino a lasciar aperto solo il Pronto Soccorso. Questo è un chiaro esempio di come la situazione sia stata gestita a discapito dei cittadini. Le strutture ci sono, manca tutto il resto, in un confuso spreco di soldi ed evidenti responsabilità. L’unica certezza è l’assenza di assistenza sanitaria sulla costa, ed il pericolo doppiamente grave della pandemia.
Anita Chiappetta