Sono stati assolti stamattina in Corte d’Assise a Cosenza, dopo quasi sette anni dall’avvio del processo di primo grado, i due attivisti del Filorosso Andrea De Bonis e Daniela Ielasi, accusati di occupazione, interruzione di pubblico servizio e furto di energia elettrica. I fatti risalgono all’estate del 2011, quando lo spazio sociale autogestito nato nel 1995 all’Università della Calabria, con sede presso uno dei vecchi capannoni del Polifunzionale, all’alba del 3 agosto, nel deserto generale del Campus, venne sequestrato e dissequestrato nell’arco di poche ore dalla Procura di Cosenza, e subito dopo demolito dalle ruspe del rettore Latorre, sotto lo sguardo vigile di decine e decine di unità di polizia in assetto antisommossa. De Bonis e Ielasi, fondatori e animatori di quell’esperienza insieme a tanti altri studenti, laureati, docenti dell’ateneo, furono gli unici due destinatari del procedimento giudiziario che ne scaturì.
Difesi dagli avvocati Marcello Manna e Luigi Bonofiglio, erano entrambi presenti stamane alla lettura della sentenza, che hanno accolto con soddisfazione: “Il fatto non sussiste”, ha stabilito la Corte relativamente all’accusa di “occupazione”, mentre sull’interruzione di pubblico servizio e il furto di corrente, gli imputati sono stati assolti “per non aver commesso il fatto”. Le motivazioni sono state depositate contestualmente e si conosceranno a breve. Il magistrato, dott.ssa De Vuono, si sarà convinta dell’inconsistenza delle accuse e delle prove a sostegno, grazie anche alle testimonianze di alcuni docenti e dipendenti dell’ateneo, che hanno restituito dignità e rilevanza politica, sociale e culturale al Filorosso, autentica esperienza collettiva, “un’istituzione dell’ateneo”. Tanto da spingere lo stesso pubblico ministero a chiedere l’assoluzione.
Chiuso il capitolo giudiziario, restano gli interrogativi sulla legittimità di un’operazione voluta dalla Procura al solo scopo di alimentare clamore mediatico ed intasare la già lenta macchina della giustizia. L’università poteva agire autonomamente, nell’ambito di una sana dialettica fra le parti, senza trasformarla in una questione di ordine pubblico. Un’operazione evidentemente forzata, come sembra suggerire anche la sentenza di stamattina.
r.f.c.
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