Una petizione on line lanciata dagli studenti dell’Unical, un documento da firmare collettivamente come docenti, un consiglio comunale ad hoc voluto dalle opposizioni: la questione rifiuti a Rende comincia a farsi sentire seriamente. E non solo metaforicamente: la puzza negli ultimi tempi è divenuta insopportabile, non più soltanto per gli abitanti di cancello Magdalone e di Settimo. L’aria è irrespirabile in tutto il Campus e riporta la memoria ai tempi d’oro della Legnochimica, quando l’odore acre e pungente era una costante per chi frequentava l’Università della Calabria.
CALABRA MACERI – Al centro dell’attenzione c’è Calabra Maceri s.p.a., azienda leader nella raccolta differenziata e nel trattamento dei rifiuti con sede a contrada Lecco, nella zona industriale di Rende, a due passi dall’Università. Sul suo sito web l’azienda dichiara di lavorare circa 750 tonnellate di rifiuti al giorno, con una percentuale di recupero dei materiali pari all’80%. Il “biodigestore” inaugurato un anno fa – primo nel suo genere in Italia per la produzione di biometano – ingerisce quantità crescenti di rifiuti differenziati organici: secondo i responsabili della società, sarebbero questi a provocare il cattivo odore diffuso, poiché il compost, al pari del letame, puzza. Nessuna sostanza chimica, insomma, solo processi naturali, senza conseguenze per la salute pubblica.
IL COMUNE DI RENDE – Il consiglio comunale di Rende ha affrontato la questione nella seduta di venerdì scorso. In un documento congiunto, le opposizioni hanno chiesto a Marcello Manna, nella sua doppia veste di sindaco e presidente dell’ATO Cosenza, maggiore controllo e trasparenza, una gestione più efficiente della differenziata e delle isole ecologiche sul territorio comunale, l’installazione di un naso elettronico, una ricontrattazione con Calabra Maceri che preveda il pagamento di una royalty per l’impianto a biogas. “Il territorio di Rende – hanno sottolineato le opposizioni – ospita un ecodistretto privato, del tutto simile alla tipologia di impianto che i cittadini e le istituzioni di Morano non hanno inteso accogliere nel proprio territorio”. Il riferimento è alla recente protesta che ha fatto saltare il piano dell’ATO di allocare una piattaforma pubblica di recupero dei rifiuti nel comune del Parco nazionale del Pollino.
IL SISTEMA REGIONALE – Il problema è che quando si parla di rifiuti in Calabria, a drizzare le antenne non sono più solo gli ambientalisti. La gestione commissariale durata 16 anni (dal 1997 al 2013) e basata sull’uso indiscriminato delle discariche, ha provocato danni all’ambiente e alla salute su tutto il territorio regionale, elevando a volte in maniera irrazionale il livello d’allarme fra i cittadini. Nel caso di Morano però, l’allarme è più che giustificato, perché il Piano regionale dei rifiuti varato nel 2016 prevede nel territorio di Cosenza nord non soltanto la creazione di una piattaforma di recupero (per cui sono disponibili 50 mln di euro dal CIPE), ma anche una megadiscarica da 350mila tonnellate annue per dieci anni (finanziata per 8mln di euro). Il sospetto è che insieme alla piattaforma, sul territorio individuato, venga recapitato anche il pacco della discarica.
“ZERO DISCARICHE” – L’obiettivo del piano rifiuti della Regione Calabria, slogan a parte, è di ridurre al minimo l’uso delle discariche, obiettivo raggiungibile con una raccolta differenziata all’80%, come dimostrano sistemi più avanzati (San Francisco su tutti). Ma in Calabria siamo appena al 24% (anno 2015), a Rende poco sopra il 57% (dati Arpacal 2018 su annualità 2017), rari i comuni virtuosi, sopra il 65% solo 60 su 400 (ultimo rapporto ISPRA). Non è un caso che, nonostante l’ammirevole ambizione del governo regionale, il Piano rifiuti preveda l’aumento di discariche esistenti (come Castrolibero) e la creazione di discariche ex novo.
LE PIATTAFORME DI RECUPERO – Qualcuno le confonde con inceneritori o termovalorizzatori, ma sono tutt’altro. In Calabria esiste un solo inceneritore a Gioia Tauro e non se ne prevedono altri (per fortuna). Le piattaforme o “ecodistretti” sono grandi isole ecologiche, dove differenziare ulteriormente e trattare preliminarmente i rifiuti, allo scopo di recuperare materiali e ridurre al minimo l’indifferenziato da smaltire in discarica o in inceneritore (anche l’incenerimento produce scorie da conferire in discarica, ndr). Gli ecodistretti pubblici previsti in Calabria sono 9 in tutto, di cui 2 nella provincia di Cosenza: uno è l’impianto esistente di Bucita a Rossano, da ammodernare, di cui c’è già il progetto sulla carta; l’altro è quello ancora da individuare a Cosenza nord. Gli impianti pubblici dovrebbero integrare (non sostituire) quelli privati, senza insistere troppo sui territori dove questi già operano.
UN ECODISTRETTO PRIVATO A RENDE – Tornando a Rende, in attesa che l’ATO individui una nuova destinazione per l’ecodistretto, il sito della Calabra Maceri si configura come una piattaforma di recupero privata, efficientissima ma collocata in un’area evidentemente incompatibile con l’afflusso crescente di rifiuti a cui l’azienda (giustamente) mira. La situazione potrebbe persino aggravarsi se l’ATO non fosse in grado, come al momento sembra, di trovare un sito, poiché l’azienda rendese, come già avvenuto in passato, vedrà raddoppiarsi le volumetrie da parte della Regione. Nel 2016 Calabra Maceri è arrivata a lavorare 200mila t/a quando il fabbisogno di tutta la regione era stimato in 590mila t/a. Migliorando la differenziata, aumenta il volume dei rifiuti da trattare e in assenza di piattaforme pubbliche, ecco che tutto si riversa su Rende.
Daniela Ielasi