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Tende nei Campus in solidarietà ai palestinesi, il 15 maggio “acampada” all’Unical

Si è diffusa come un’onda in tutto l’occidente la chiamata alle mobilitazioni in solidarietà al popolo palestinese partita dai più illustri Campus americani, forse catalizzata dalle orribili immagini prodotte dai metodi coercitivi e violenti con cui la polizia sta cercando di reprimere le proteste in corso. Nella logica di chi in queste ore si prepara a montare le tende in protesta anche nelle università italiane tra cui l’Unical, rispondendo all’appello rilanciato da Giovani Palestinesi d’Italia per il 15 maggio, le occupazioni sono la giusta risposta ai doppi standard di giustizia vigenti nelle democrazie liberali.

Continua così l’esperienza degli studenti dell’Università della Calabria partita all’inizio dell’invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano con l’occupazione dell’Aula Caldora, che è stata trasformata per qualche giorno in un luogo adibito a sensibilizzare sul tema della causa palestinese attraverso la promozione di incontri con attivisti e intellettuali, raccogliendo la vicinanza e il contributo di altre realtà affini. La protesta è sfociata poi in un sit-in organizzato in occasione del Senato Accademico, per spronare l’autorità universitaria a esprimersi su un cessate il fuoco e interrompere le relazioni con le società italiane impegnate nello sviluppo del compartimento bellico. L’azione ha ottenuto dalla governance la pubblicazione di una nota di generica condanna alla guerra, giudicata dagli studenti sterile e poco rispettosa della realtà storica. 

A sette mesi di distanza dalle vicende drammatiche del 7 ottobre di cui è responsabile il partito di Hamas, che hanno dato il via a una mattanza senza precedenti di palestinesi, sembra ancora lontana la possibilità reale di arrivare ad una tregua duratura tra le parti e lavorare per raggiungere una soluzione politica stabile. In particolare ovunque viene contestata l’ipocrisia istituzionale che sta caratterizzando le nazioni alleate di Israele, incapaci di condannare severamente lo stato ebraico per i crimini di guerra connessi alla decennale occupazione militare dei territori palestinesi e per ciò che ha prodotto l’attuale rappresaglia scatenata contro gli abitanti di Gaza e Cisgiordania. Risulta facile capire che il motore di queste mobilitazioni è senz’altro il desiderio di pace dei giovani, costretti ad assistere impotenti al momento più buio della contemporaneità nei rapporti tra le potenze mondiali. 

 

Le proteste sono una risposta popolare e giovanile ai piani che secondo molti contribuiscono ad alimentare le continue violenze sioniste a danno delle popolazioni palestinesi. Un modo per redimersi in quanto europei e americani incapaci di accettare il fatto che la propria nazione abbia collaborato per oltre mezzo secolo a difendere un’occupazione spietata, a coprire politicamente uno stillicidio perpetrato con mezzi moderni, ad affamare e bombardare per tutti questi ultimi mesi un popolo senza nemmeno riconoscere il loro diritto ad autodeterminarsi e a riscoprirsi membri di uno stato autonomo e sovrano. 

Ovunque in Italia nelle università si manifesta affinché vengano fermate le collaborazioni orientate allo sviluppo militare tra le nostre università e gli atenei israeliani e che vengano messi in luce e stoppati i progetti di ricerca funzionali agli interessi del gruppo industriale di Leonardo SPA, il fiore all’occhiello italiano per ciò che riguarda l’industria militare e aerospaziale con cui anche l’Unical condivide programmi di ricerca e obiettivi strategici per la formazione e l’impiego di personale nel compartimento bellico. La società da cui è nata la fondazione Med-Or è accusata di armare per profitto i militari al servizio del governo fascista di Netanyahu e, quindi, di favorire politiche ostili al raggiungimento della pace.

Pertanto all’Unical come in molti altri atenei la comunità studentesca chiede alla governance che siano riconosciute le responsabilità di Israele nei crimini contro l’umanità commessi soprattutto negli ultimi mesi e che l’università prenda le distanze dall’essere una potenziale partner israeliana nel genocidio dei palestinesi, un argomento dibattuto da gennaio come conseguenza dei provvedimenti adottati dalla Corte Penale Internazionale su impulso della denuncia presentata dal Sud Africa contro lo stato sionista.

Bruno Vavalà

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