Lavoro SOCIALE Zoom

Tornare al Sud, un’utopia che si realizza grazie al “south working”

L’idea di poter lavorare al sud viene ormai vista come un’utopia dai giovani di oggi, che iniziano a lasciare la propria terra già durante gli studi universitari. Infatti, secondo i dati ISTAT, è dal sud che provengono i maggiori flussi di mobilità verso gli atenei del nord e del centro. Ma riportare i giovani del sud, al sud, oggi è possibile con lo smart working. Questo è il tema dell’incontro su Zoom tenuto da Fondazione Con il Sud in collaborazione con l’associazione South working – lavorare dal Sud. “Un giovane che ritorna nel territorio di origine, rafforza il capitale umano di quella comunità – ha dichiarato, nell’introdurre la serata, il presidente della Fondazione Carlo Borgomeo – rende attrattivi i territori del sud e noi abbiamo bandi pronti per trasferire al sud ricercatori del nord o stranieri, per dimostrare che al sud si può fare ricerca”. 

South working è un’organizzazione no-profit nata a marzo 2020, durante la prima ondata di coronavirus, per idea di Elena Militello, palermitana di 27 anni, e di un gruppo di ragazzi fuorisede che si sono ritrovati a lavorare in remoto per aziende del nord dal proprio territorio d’origine. L’obiettivo è riqualificare i territori del sud grazie al rientro dei ragazzi che oggi lavorano o studiano al nord. In che modo? Studiando e potenziando le forme di lavoro agile da una sede differente da quella del datore di lavoro, in particolare dalle regioni del sud per le aziende del nord in smart working. “Anche nel dopo covid questa modalità potrebbe portare con sé un vantaggio per l’azienda e per il dipendente” dichiara Elena Militello, presidente dell’organizzazione. Lavorare da remoto dal sud e dalle aree interne porta al reinvestimento al sud dei salari, che porta a sua volta all’investimento su beni patrimoniali, sulla nuova impresa e sulla nascita di start up, insomma un rilancio dell’economia e una maggiore coesione economica, sociale e territoriale.
“Ad oggi – riporta Mario Mirabile, presidente e co-founder di south working – l’85,3% degli intervistati andrebbe a vivere a Sud se fosse permesso loro (e fosse possibile) mantenere il lavoro da remoto” e ancora “abbiamo creato una mappa che traccia i luoghi di co-working del territorio italiano, per individuare le diseguaglianze infrastrutturali e superarle”.
Ma il lavoro di South working non si basa solo sull’incentivo economico che può portare al territorio, ma su una logica win-win: da una parte il vantaggio che “può trarre il territorio del sud nel riportare o attrarre i giovani nel proprio territorio, dall’altra il vantaggio che ne traggono le aziende – come sottolinea Giorgio Righetti, direttore generale di ACRI – lavorare da Milano, ad esempio, ha dei costi dal punto di vista immobiliare immensi, quindi questo può essere un risparmio, e lavorare per obiettivi produce una maggiore focalizzazione del lavoratore sulle attività piuttosto che sull’orario lavorativo”.
Ovviamente non è semplice, secondo alcuni il punto insuperabile è il desiderio dei giovani di fare comunità e di condividere, quindi questa modalità non può essere permanente; l’impostazione di South Working, invece, coglie questo elemento e ha tra i suoi punti fondamentali quello di creare una community, anche virtuale, e offrire servizi per rendere più agevole la transizione.
Ma South Working non vuole solo riportare i giovani meridionali in meridione, il rilancio del sud e delle aree interne dell’Italia avviene principalmente attraendo giovani da tutte le regioni, ne sono esempio Giulia e Marta (nate a Roma e Milano) che oggi lavorano da remoto da Palermo. Un’idea, dicono, che potrebbe espandersi in tutta Italia e attrarre giovani da tutto il mondo sul nostro territorio.
Per fare questo l’associazione cerca di promuovere azioni di advocacy per lo sviluppo del territorio, quindi adeguate infrastrutture di comunicazione e di trasporto, ma soprattutto una rete internet con banda larga e un collegamento con le maggiori città del mondo. E inoltre si preoccupa di difendere i diritti del lavoratore da remoto, assicurandosi che riceva un trattamento non inferiore ai colleghi che lavorano in azienda.
In un mondo che a causa dell’emergenze sanitaria, si è già affacciato alla nuova era del lavoro, quella smart, questa può essere una grande occasione da prendere al volo per ridare valore al mezzogiorno e permettere ai giovani del sud di tornare nel proprio territorio e ai giovani del resto d’Italia, di innamorarsi del sud e di restare qui.

Annalisa Paviglianiti

FaC

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