Negli ultimi giorni sta accadendo un avvenimento tanto essenziale quanto raro: un gruppo di studenti dell’Università della Calabria esplora ecosistemi fluviali tipici della Provincia cosentina. Studenti e studentesse al terzo anno di “Ingegneria per l’Ambiente e la Sicurezza del Territorio”, in occasione del corso di “Mitigazione del Rischio Ecologico”, hanno finalmente avuto l’opportunità di entrare in acqua con gli stivali ed applicare le teorie insegnate. Guidati dall’ecologo e ricercatore internazionale Nic Pacini, hanno valutato in dettaglio l’integrità fluviale quale indicatore di funzionalità degli ecosistemi caratteristici del nostro territorio.
Le aree interessate dall’esercitazione guidata hanno compreso i fiumi: Esaro, Savuto e Campagnano. I partecipanti studenti e studentesse si dichiarano molto soddisfatti di questa occasione, unica nei tre anni del loro percorso di studi. Sin da subito, alla proposta del docente, si attrezzano con retini, bacinelle e barattoli nonché gli alti stivali che permettono loro di entrare, direttamente nell’alveo dei fiumi studiati.
Lo scopo dell’uscita nasce da un obiettivo preciso: a seguito dell’analisi teorica e degli approfondimenti in aula, è fondamentale mostrare agli studenti cosa c’è “là fuori”, sul campo, nel territorio, e come le dinamiche idrauliche si sviluppano nello spazio dell’ecosistema naturale plasmando nicchie ecologiche per insetti, pesci e vegetazione caratteristica. Il gruppo visita 3 fasce fluviali, ognuna con peculiarità diverse in termini di caratteristiche idrauliche, biodiversità (vita acquatica e terrestre), conformazione degli argini e molto altro. Indicatori specifici rilevati sul campo, riassunti nel metodo “Indice di Funzionalità Fluviale” di Maurizio Siligardi et al. permettono di giudicare queste variabili, per capire il grado di integrità biologica dell’ecosistema. Un metodo raramente applicato al contesto calabrese, dove accanto allo sfruttamento intensivo di alcune aree e alle discariche abusive di rifiuti, si alternano zone ancora poco contaminate, che resistono all’impatto circostante.
Entrando nelle aree meno accessibili e meglio conservate, da subito si intravede la bellezza dei luoghi e delle risorse presenti: altissimi pioppi affiancano gli argini dei fiumi; piante, uccelli, pesci e insetti autoctoni vivono in equilibrio nei loro habitat. A tratti si intravede un vero paradiso terrestre che associa alla struttura armonica la vitale funzione delle fasce fluviali che notoriamente elargiscono numerosi beni e servizi ecosistemici di primaria importanza ed insostituibili.
Il docente Nic Pacini spiega agli studenti alcuni principi fondamentali dell‘osservazione della struttura dell’ecosistema fluviale. Le piante e gli alberi che nascono tra gli argini hanno una capacità di assorbimento della CO2 più elevata rispetto ad altre specie. Questo grazie alla prossimità dell’acqua in tutte le stagioni che permette loro di crescere costantemente. Il loro effetto benefico permette la risoluzione parziale del problema della ben più ampia crisi climatica che stiamo vivendo. La CO2 in eccesso non è che un sintomo. Le cause principali sono da ricercare nell’impatto dell’essere umano sul ciclo dell’acqua, acuito dalla deforestazione. Le grandi foreste primarie sono ad oggi gli unici ecosistemi in grado di dissipare efficacemente l’energia solare raffreddando la superficie del Pianeta e contribuendo al bilancio termico a livello globale.
La Calabria è una terra antica, che nonostante decine di migliaia di anni di insediamento umano possiede spazi poco contaminati, dove la vita resiste e prospera nonostante l’aggressione della nostra economia locale che cerca profitti ad ogni costo. Alcuni tratti caratteristici dell’ecosistema fluviale sono definiti dal docente: “da manuale”. Rispetto ad altre regioni, sia per via dello spopolamento che per motivi legati alla frammentata presenza di aziende intensive, ancora possiamo fruire di spazi di biodiversità relativamente integri, nei quali l’impatto dell’essere umano non è ancora irreversibile.
Purtroppo non mancano abusi ambientali, in particolare lungo le sponde dell’Esaro spesso occupate da rifiuti solidi. Gli studenti fotografano piccole discariche abusive, superfici brutalmente deforestate (anche su pendenze ripide, specialmente nel Savuto), occupazione di terreni demaniali e proliferazione di rovi ed alberi infestanti a seguito del disboscamento. Il taglio delle specie autoctone più anziane e più lente nella crescita agevola l’inserimento di fitti rovi e specie aliene invasive, che creano un disequilibrio in grado di incidere su tutta la catena alimentare, dalle piante ai pesci, dagli insetti agli animali e uccelli. Quando si toccano gli alberi, si intacca tutto il sistema morfologico del territorio. La riduzione dell’evapotraspirazione porta un aumento della temperatura locale, un’accelerazione della risposta dello scorrimento superficiale alle precipitazioni e modifiche in alveo. Le acque correnti diventano via via più rapide a seguito della mancanza delle fitte radici e della perdita di infiltrabilità del suolo. Aumentano le inondazioni, aumenta lo sradicamento degli alberi rimasti, diminuisce la presenza di habitat caratterizzati da acque lente o stagnanti in grado di fornire vita a specie acquatiche lentiche, come gli anfibi, le libellule ed altri insetti acquatici caratteristici. Nic aggiunge che le cause di disastri ambientali come la perdita di specie autoctone (pesci, piante, animali di terra e di aria) e la maggior frequenza di piogge torrenziali sono spesso attribuibili alla mancanza di tutela a monte, e coincidono con il fenomeno diffuso della deforestazione delle grandi foreste del Pianeta (in primis l’Amazzonia, Il Congo, le foreste boreali siberiane; etc.).
Durante le marce esplorative tra pietre negli argini fluviali ogni sguardo è fonte di discussione, accompagnato da ripetuti riferimenti ad insegnamenti generali dell’ecologia fluviale e da concetti di restauro naturalistico. Questi processi non influiscono solo sulla vita naturale ma anche direttamente sull’essere umano. Ecosistemi già alterati da costruzioni edili come ponti, dighe, centrali idriche, antichi mulini o stabilimenti storici, che possono finire col lesionarsi o crollare per via della nuova conformazione del suolo rispetto ai progetti iniziali, si trovano improvvisamente privi di piante secolari che contribuivano all’equilibrio climatico e rappresentavano la forza delle foreste fluviali. La deforestazione riduce il tasso di umidità generale, la capacità di ossigenazione, di dissipare l’energia solare regolando la temperatura locale, promuovendo l’innalzamento di siccità e aridità, e portando man mano all’insostenibilità delle forme di vita, compresa quella umana.
Gli studenti stessi mostrano una spiccata curiosità al vedere la formazione di piante e muschi che ricoprono di verde le pietre in zone con moderata corrente. Il fitto tappeto di cianobatteri che ricopre le pietre è sintomo della presenza di fertilizzanti chimici che ledono alla qualità dell’acqua. Si trovano davanti un segnale semplice da individuare ma che mostra la presenza di alterazione del livello naturale di azoto e fosforo. Questo fenomeno è tipico di zone interessate da scarichi fognari, prossime alle città. Non essendo questo il caso in particolare della zona del fiume Esaro, questo indicatore denota la presenza di agenti chimici provenienti da agricoltura intensiva.
Imparare ad interpretare la struttura dell’ecosistema circostante è fondamentale per la sua tutela e valorizzazione. Grazie a questo tipo di visite ed esercitazioni guidate e all’impegno dell’Unical nelle nostre valli è possibile promuovere un approccio proattivo alla sostenibilità, valore per cui l’Università della Calabria è nata. Studenti, lavoratori, esperti, abitanti interessati o meno saranno pronti a mutare le abitudini viziose in modo da agire propositivamente e proteggere, valorizzare o rigenerare i luoghi devastati? La risposta è complessa ma la partecipazione a questi momenti di analisi è fondamentale per promuoverli, e diffonderli sul territorio calabrese, e perché diano frutti nel medio tempo.
Luca Mollo