Gli studenti universitari negli anni Sessanta e Settanta non volevano un posto nella società, volevano creare una società in cui avere posto. Sta forse tutta qui la differenza fra i giovani di allora e i giovani di oggi secondo Guido Viale, autore di “Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta Continua” (edizioni Interno4). Il 9 marzo scorso al DAM dell’Unical c’era anche qualche studente ad ascoltarlo in una sala gremita di ex militanti, accorsi alla presentazione del libro organizzata dal Filorosso.
L’incontro moderato dal giornalista Alfonso Bombini, si è aperto con l’intervento registrato di Claudia Pinelli, figlia di Giuseppe, anarchico e partigiano italiano, di professione ferroviere, animatore del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. A pochi giorni dalla bomba di Piazza Fontana, tra il 15 e il 16 dicembre 1969, Giuseppe Pinelli, viene arrestato e muore volando giù dalla finestra della questura di Milano. Il fatto viene presentato come suicidio, ma Lotta Continua non crede a questa versione e intraprende una battaglia politica e giudiziaria che consentirà di fare emergere un’altra verità.
“Quello fu uno spartiacque definitivo per un movimento che fino ad allora era stato una festa studentesca e operaia”, commenta Vittorio Cappelli, storico e docente Unical, ricordando la giornata del 12 dicembre 1969 e l’esplosione nella Banca dell’Agricoltura di Milano. In realtà Lotta Continua si scioglierà nel 1976 e Cappelli dissente dall’autore che nelle prime pagine del libro scrive “Guai ai vinti”. Se LC è stata sconfitta dal punto di vista ideologico-politico, “dal punto di vista sociale – precisa Cappelli – ha prodotto un cambiamento radicale della vita quotidiana”.
Sulle ragioni della fine interviene anche Donatella Barazzetti, fra le leader di quel movimento, oltre che ex docente e fondatrice del Centro di Women’s Studies dell’Unical. Secondo Barazzetti è stato il femminismo a spingere Lotta continua alla sua dissolvenza, un movimento che la docente descrive come “mai interrotto e mai finito”. D’accordo con lei Ida Rende, all’epoca studentessa a Trento. “Arrivai in quella città con la mia valigia carica di ingiustizie – racconta – che includevano il divorzio, l’aborto clandestino, il delitto d’onore, il tabù della contraccezione”. A Trento incontra un agglomerato di studenti con la grande capacità di accogliere le diversità, moltissime donne avevano abbracciato il femminismo.
Il dibattito coinvolge molto i presenti, interviene fra gli altri Felice Spingola, ex sindaco di Verbicaro, passato alla storia come l’unico sindaco di Lotta Continua in Italia. Tanti sottolineano la differenza fra Lotta Continua al nord o al sud, oppure fra la militanza nelle città e nei piccoli paesini. Differenze vissute come una ricchezza per un’organizzazione capace di radicarsi in aree geografiche ma anche in strati sociali spesso molto diversi fra di loro. Ogni sede aveva caratteristiche proprie, accomunate da “un’ingenua disorganizzazione”. A Torino era chiara l’eccezionalità della lotta, in Calabria essa assumeva la centralità del quotidiano, vi era la prospettiva di un cambiamento reale, l’imminenza del fare, qui e ora.
Ed è stata proprio la capacità di amalgamarsi tenendo conto delle differenze a costruire le solide basi di Lotta Continua. Su questo non ha dubbi l’autore del libro, che riconosce come decisiva la presenza delle donne e del movimento femminista, marcando la loro importanza nell’occupazione delle case e al fianco delle operaie in cerca di diritti. L’origine dell’organizzazione è diversa rispetto al resto della sinistra extra-parlamentare poiché nasce dall’ascolto, dalla disponibilità, dalla generosità, dall’attenzione verso la vita degli altri. “Le riunioni erano grandi e informali sessioni di autocoscienza nelle quali si parlava di tutto, dal patriarcato alle aspirazioni degli operai” ricorda Viale.
“LC si è dissolta lentamente tra le 200 sedi sparse per l’Italia attraverso lo scioglimento di rapporti che non vincolavano i membri, ma li legavano ad una sana amicizia e passione per le lotte sociali” sottolinea ancora l’autore. Amicizia e passione che si scorgono tuttora tra i presenti in sala, anche a distanza di 50 anni: si legge negli sguardi carichi di vitalità, compagni che si riconoscono fra loro e si raccontano l’uno all’altro, mettendo in risalto la fine della lotta, ma non di tutto il bene condiviso.
Marzia Ruh