“Siamo tutti sovversivi” recitava il cartello che portava stretto al collo mentre, insieme ad altre centomila persone, partecipava al corteo di protesta contro gli arresti a Cosenza del dopo Genova.
Da allora, la politica attiva la fa in mare aperto, capomissione della Mar Jonio, per salvare vite: Luca Casarini ritorna dopo due decenni nella città bruzia, in occasione della iniziativa promossa da Migrantes del prossimo 13 aprile.
Da poco è ricorso il primo anniversario della strage di Cutro: la corte europea congelando l’omonimo decreto del governo Meloni, ha di fatto bloccato gli accordi con l’Albania che su tali procedure si fonda.
La strage di Cutro non è un incidente, non è una fatalità, ma la conseguenza di politiche criminali, attuate dai vari governi che hanno nella omissione di soccorso uno degli elementi fondativi. A posto del soccorso viene data precedenza a operazioni di polizia. Loro le chiamano law enforcement questo tipo di dispositivo di controllo dei confini che si è applicato anche a Cutro e che non prevede, invece, di salvare i migranti in mare come primo punto o a rendere la navigazione più sicura: interessa di più respingere che salvaguardare vite umane. È il motivo per cui a Cutro non c’erano motovedette preposte alla salvaguardia, c’era una sola motovedetta della guardia di finanza per il controllo dei confini che poi non è più uscita in mare. Ciò ha causato il naufragio in cui hanno perso la vita i migranti: li hanno lasciati schiantare a pochi metri dalla riva. Questa non è una fatalità, ma una cosa che si ripete spesso e questi meccanismi della omissione di soccorso fanno parte di una strategia. D’altronde il ministro degli interni quando ancora i cadaveri venivano restituiti dalle onde sulla riva di Steccato di Cutro disse: la colpa è dei cadaveri. Questo è un messaggio per tutti quelli che partono: è colpa vostra perché poi voi morirete.
Negli ultimi tempi un cambiamento di rotta verso le Canarie ha determinato un percorso più lungo e rischi maggiori
Questo succede sempre, come è avvenuto per la Libia quando è stato messo uno sbarramento con uno dei più grandi campi profughi, quello turco al confine con la Grecia. Una volta aumentata la pressione sulla rotta balcanica è esplosa poi la rotta mediterranea. Il desiderio di sopravvivenza di migliaia di persone che fuggono da situazioni di pericolo è come l’acqua: tu cerchi di fermarla da una parte, ma lei continua a scorrere verso il mare. Quindi si creano rotte sempre più pericolose, ma ovviamente non si ferma la migrazione. Non è garantito il diritto di restare a casa propria perché ci sono le guerre, una crisi climatica devastante, situazioni economiche di diseguaglianza e le soluzioni che propongono i governi sono tutte militari come il piano Mattei. Sono bufale di propaganda che causano sofferenze, tante, e morti, però non possono incidere su questo fenomeno perché la voglia di vita è più forte sempre. In questi giorni c’è il mare calmo ed è ovvio che ci siano migliaia di arrivi: il vero regolatore dei flussi nel Mediterraneo è il meteo. Questo è il primo dato da assumere e che chi va in mare sa.
Mentre in Europa assistiamo a politiche volte alla chiusura, ad accordi come quelli con Egitto e Tunisia, c’è, di contro, un movimento civile che abbraccia più anime e voci.
È un dato che dà speranza. Siamo dentro a un tempo di guerra globale che minaccia l’umanità. Anche di fronte alle persone rinchiuse nei lager che siano libici o CPR, a quelle che affogano nel Mediterraneo, c’è comunque un messaggio di speranza che dobbiamo dare. Innanzitutto perché ce lo insegnano i nostri fratelli e le nostre sorelle migranti che, nonostante tutto, si mettono in cammino perché conservano la speranza di una vita migliore. Di fronte al teatrino della politica, la società civile che si autorganizza è speranza anch’essa, perché cerca di costruire sulla pratica concreta un altro mondo possibile. Ed è la storia anche delle navi del soccorso civile in mare. Noi siamo partiti nel 2018 con due navi nonostante la politica dei porti chiusi e Salvini che strombazzava la soluzione finale. Adesso sono diciotto le navi di soccorso civile in mare malgrado ci fermino, ci mettono sotto processo: noi continuiamo e altri dopo di noi continueranno. Questa è la speranza che va oltre ogni speranza.
Con un percorso inverso al tuo, Carola Rackete dal soccorso in mare ha scelto di presentarsi alle prossime elezioni europee con Die Linke, in nome dell’ecosocialismo
Sia che stessi nei centri sociali, sia che sto su una nave, il comune denominatore è fare politica attiva, la pratica. È questo che secondo me ci restituisce una bussola nel mare in tempesta, nei cambiamenti di questo tempo che stiamo attraversando che è un tempo buio, di tenebre, di violazione dei diritti umani, di diseguaglianze e di ingiustizia. Io credo che in questa epoca che sembra non dare speranze, bisogna avere una bussola che è appunto la pratica, le pratiche. E questo costruisce anche un discorso politico, anche di prospettiva. Non è l’inverso: se noi non facciamo diventare concreto ciò che incarniamo, quello che sogniamo e speriamo per questa terra e per questo mare, non ha alcun senso.Quello della costruzione di un altro mondo possibile è una rivoluzione permanente, non è un cambiamento che avviene di colpo. È la nostra vita che deve cambiare per poter cambiare questo mondo. In questo senso essere attivi è la cifra che bisogna avere fuori o dentro a un parlamento. La militanza politica è una forma di vita, non può essere un discorso.
Sarai a Cosenza il 13 aprile a raccontare proprio della tua esperienza. Mancavi qui dalla manifestazione no global del 2002
Sono contento di ritornare a Cosenza dopo che manifestai insieme ai fratelli e alle sorelle arrestati. Io stesso venni accusato di cospirazione politica contro lo Sato in quel processo che durò otto anni. Quella manifestazione l’ho fatta con un cartello legato al collo che diceva: siamo tutti sovversivi. Ecco sovversivi tutti, fratelli tutti è la stessa cosa, detta con parole diverse. Dobbiamo coltivare questa eresia che rappresentiamo nel pensare che è ancora possibile cambiare.
A poche ore dalla intervista ai microfoni di Piazza Europa, la Mare Jonio, dopo aver tratto in salvo 56 migranti a largo delle coste libiche, nonostante i colpi di mitra sparati alla nave da parte della guardia costiera libica, ed essere approdata a Pozzolo, è stata messa sotto sequestro dalle autorità giudiziarie -mettendo così in atto il decreto Piantedosi- con un fermo amministrativo e una multa fino a 10 mila euro.
sdm