COSENZA – Il portone d’ingresso dello storico Teatro Rendano ha riaperto oggi, dopo oltre un anno di chiusura, per una matineé alquanto inusuale: ad andare in scena è il Primo Maggio delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo. A partire dalle 11 di stamattina Approdi Calabria ha lanciato il tam tam dalla propria pagina facebook, invitando la stampa e la cittadinanza a partecipare alla “Festa del lavoro che non c’è”. Non un’occupazione, ma una “riappropriazione” – concordata con l’amministrazione comunale, ndr – che andrà avanti tutta la giornata, con momenti di discussione sui temi della cultura, del lavoro, del reddito oltre che sul tema caldo delle riaperture previste dal 26 aprile.
“Da questo teatro che è un simbolo spudorato della trascuratezza e della miopia del potere – spiegano i lavoratori – oggi prendiamo la parola e ci mettiamo in ascolto, perseguiamo la contaminazione delle lotte e invitiamo la città a farlo con noi, per costruire un discorso collettivo che possa dare spazio a tutti, per immaginare insieme una rinascita delle arti, un proliferare di culture e un mondo più umano”. L’invito naturalmente è esteso anche alle istituzioni, cittadine e regionali. “Per il nostro movimento è stato più facile interloquire con le istituzioni nazionali – racconta Rita De Donato durante la conferenza stampa – anziché essere ricevuti alla Regione dall’assessore alla Cultura oggi presidente facente funzioni”. La Calabria è la regione italiana che spende meno (e peggio) in Cultura, mancano politiche d’insieme e di lungo periodo, non c’è una visione, non si punta su un settore potenzialmente strategico e decisivo per lo sviluppo del tessuto socioeconomico. “Serve un sistema integrato regionale e una legge sulla musica, per la quale stiamo lavorando insieme mettendo da parte le differenze”, ricorda Leon Pantarei. “Consapevolezza, autoformazione, codice etico”, queste le regole che il coordinamento si è dato, “perché solo conoscendo a fondo la materia, è possibile formulare proposte sostenibili”.
Il percorso di Approdi è cominciato circa un anno fa, in concomitanza con il movimento nazionale che ha visto le manifestazioni dei bauli in piazza e l’occupazione di teatri importanti, il Mercadante a Napoli, il Globe a Roma, il Piccolo a Milano. “Nell’area urbana – spiega Manolo Muoio – non c’è un teatro capace di riaprire se la pandemia sparisse all’improvviso, tanti spazi come il Rendano, il Morelli, l’Italia, ma anche il PTU e l’Auditorium all’Università della Calabria, erano chiusi già da prima che la pandemia cominciasse”. Come si riaprirà dunque, se e quando si riaprirà? “Siamo di fronte all’ennesima “falsa ripartenza”: gli spazi medi e piccoli continueranno a rimanere chiusi, impossibilitati a sostenere i costi necessari nel rispetto dei numeri ridotti che consentano il distanziamento nelle sale, la maggioranza dei lavoratori non tornerà a lavorare e sarà spinta a una gara al ribasso, e, laddove anche ci fossero le condizioni per una parziale ripresa delle attività, servirà del tempo per la programmazione”.
Per questo Approdi chiede di tenere alta l’attenzione, perché non basterà una giornata per ripartire: se la cultura è un bene comune, servirà una comunità per salvarla e valorizzarla. Non è un caso che questo Primo Maggio di Approdi sia dedicato a Carlo Cuccomarino, pensatore cosentino e animatore di pensiero critico scomparso di recente: nonostante le tante delusioni politiche, Carlo continuava a credere fermamente che il cambiamento è possibile solo se agito collettivamente.
Daniela Ielasi