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Naufragio di Cutro, ARCI Cosenza: “Superato ogni limite”

COSENZA – Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge – articolo 10, Principi fondamentali, Costituzione italiana.

Tra le tante riflessioni che abbiamo raccolto a caldo nella nostra rete, in seguito al naufragio avvenuto sulle coste calabresi nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, numerose sono le voci che esprimono l’idea che, se c’è un limite a quanto possiamo sopportare, questa volta quel limite è stato superato.

Condividiamo come rete, anzi, come comunità, la volontà di non tacere di fronte a queste ennesime morti, che stavolta ci toccano un po’ più da vicino, perché non possiamo accettare di vedere il mare restituirci settanta e più corpi di un naufragio avvenuto a 100 metri dalle spiagge dove fino a pochi mesi fa ci facevamo spazio tra un ombrellone e un altro per guadagnarci un raggio di sole. Troppo vicini questi uomini, donne bambine e bambini per non essere vistə, per non essere salvatə, troppo straziante vedere madri cercare i loro figli tra la sabbia e i resti dell’imbarcazione e, viceversa, vedere bambini e bambine piangere sul corpo esanime dei propri genitori.

Messa un attimo da parte l’indignazione, il dolore, la disperazione, e lasciando il tempo alla guardia costiera e ai vigili del fuoco di recuperare le ultime salme prima che il tempo peggiori di nuovo e arrivi il buio di un’altra notte, ci tocca fermarci e provare a capire e a dare una visione di questa tragedia a chi normalmente non lavora con i/le migranti, non ha contezza di ciò che accade nei paesi di origine, non conosce norme, politiche e cifre reali che caratterizzano l’arrivo delle persone straniere in Italia, e pure non si gira dall’altra parte, vuole sapere, provare a spiegarsi questo orrore.

Perché dire “non devono partire” è pura propaganda e ci sentiamo offesə e turbatə da questa presa di posizione del Governo?

Perché non avevano scelta, non potevano “non partire”, come ha affermato il Ministro degli Interni Piantedosi, perché restare significava morire. Morire dentro, morire fuori, morire violentatə in Pakistan, morire decapitatə in Afghanistan, morire avvelenatə in Iran, morire di fame, è comunque morire. Allora tanto vale tentare di attraversare un mare o arrampicarsi su una montagna, sperare nella buona sorte. Tuttə noi, alle medesime condizioni, saremmo partitə.

Lo sanno anche i sassi di quelle spiagge che si tratta di sopravvissutə alle guerre e un Governo non può ignorare cosa accade nei paesi di provenienza dei profughi e delle profughe che arrivano ogni anno sulle nostre coste o attraverso i nostri confini, non può ignorarlo perché, di fronte alla legge, non è ammessa ignoranza. L’articolo 10 della Costituzione italiana, che riconosce la possibilità di chiedere asilo in Italia è uno dei principi fondamentali sul quale si fonda il nostro paese, un principio di solidarietà che si è infranto a 100 metri dalle coste di Cutro qualche giorno fa.

Dire “non devono partire”, così come dire “fermare i flussi” è pura propaganda semplicemente perché, ammesso che qualcuno possa pensare che sia giusto condannare le persone a morire di guerra o di cambiamenti climatici (entrambi provocati dalla sete di potere e di denaro sui cui si basa il sistema economico in cui viviamo), nessuno sa come farlo, infatti finora nessuno è riuscito a farlo, neanche attraverso il finanziamento dei lager libici o turchi (pagati dai contribuenti europei). Perché la mobilità umana è incontenibile, e pensare di farlo sembra la trama di un (brutto) romanzo distopico degli anni Novanta. Immaginiamo per un attimo di applicare il “fermiamo i flussi” ad un flusso particolare di richiedenti asilo come quellə provenienti dall’Ucraina. Sembra più difficile adesso gridarlo come slogan, vero? Ci eravamo illusə che le pene del popolo ucraino avrebbero aperto gli occhi a tantə conterraneə e alla classe dirigente sulla necessità di rimodulare le politiche e le pratiche migratorie. Solo pochi giorni prima del naufragio di Cutro, infatti, il Governo aveva approvato un decreto-legge che stabiliva la proroga delle misure di assistenza e accoglienza già disposte in favore della popolazione ucraina, fino al 31 dicembre 2023.

Pensare di dire “non devono partire” è pura propaganda specie alla luce delle iniziative di legge intraprese subito da questo Governo: dal mese scorso è in atto una vera e propria guerra alle organizzazioni che si occupano di salvataggi in mare. È stato infatti convertito in legge il cosiddetto “decreto ONG” che vincola le navi delle ONG a rispettare una lunga serie di requisiti burocratici per svolgere la propria attività, prevede che le operazioni di sbarco vengano svolte nel porto indicato dalla guardia costiera, ma non necessariamente nel porto sicuro più vicino, rendendo le operazioni più lente e faticose, prevede onerose multe e la confisca delle imbarcazioni per chi non rispetti le norme stabilite. Navi sequestrate, equipaggi, compagni e compagne sotto processo, meno barche pronte a salvare le persone in un mare così grande.

La proposta di favorire vie “legali, ordinate e sicure” per i corridoi umanitari è, per chi come noi da anni ha aperto degli sportelli legali a favore di migranti e richiedenti protezione internazionale, un’ennesima presa in giro. I numeri delle persone evacuate da zone di guerra attraverso i cosiddetti legal pathways sono irrisori rispetto al numero di chi riesce ad approdare in Italia e in Europa.

Sarebbe bello poter dire che i corridoi umanitari rappresentano una soluzione, ma i dati tracciano un profilo diverso, basti pensare che gli arrivi in sicurezza della Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con realtà associative e religiose, a seconda dei protocolli firmati con gli Stati, hanno permesso, dal febbraio 2016, a 4.342 persone di raggiungere l’Europa in sicurezza (dato aggiornato al 14 febbraio 2022). I soli sbarchi del 2022 hanno superato le 100 mila unità, secondo il Viminale.

Infine, cogliamo l’occasione per tentare di decostruire un ulteriore dato: è infatti notizia di ieri pomeriggio l’arresto di quattro presunti “scafisti”. Ci sembra incredibile che in un naufragio che conta così tante vittime, tra i sopravvissuti, anch’essi naufraghi, siano subito stati individuati i colpevoli. La ricerca del carnefice sembra voler esulare la politica interna delle sue responsabilità. Ma chi sono i “carnefici”? Sono persone spesso inserite in sistemi di sfruttamento, costrette con violenza a condurre le imbarcazioni di fortuna verso le coste europee. Sono persone che spesso diventano, agli occhi dei compagni e delle compagne di sventura, gli eroi che salvano loro la vita, che realizzano il sogno di arrivare e ricominciare. Agli occhi dei più invece – occhi viziati dal sentire comune, dal dire comune – gli “scafisti” sono i criminali che mettono a repentaglio la vita di centinaia di persone. Oggi però il dato è paradossale: in una tragedia con così tante vittime, a quattro persone è stato contestato il cosiddetto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12 Testo Unico Immigrazione) previsto dall’ordinamento italiano per punire, oltre che scoraggiare, chi viola le norme relative all’ingresso in Italia. Anche stavolta il Ministro Piantedosi ha colto l’occasione per sottolineare che la disperazione non giustifica questo reato.

Da parte nostra, ci uniamo alle parole di ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione) e ribadiamo anche noi la necessità di “fermare l’ipocrisia di fingere che il motivo principale delle tragedie nel mar Mediterraneo non sia nelle politiche di chiusura delle frontiere e di esternalizzazione dei confini e del diritto di asilo, ma nei trafficanti di uomini e donne; così volutamente si confondono cause ed effetti anche di quest’ultima strage perché è evidente che il traffico di esseri umani è la conseguenza della impossibilità di esercitare la libertà di movimento delle persone”.

Troviamo ingiustificabile una visione così cieca della realtà.

Un diritto negato a un altro essere umano è un diritto negato a noi stessə. Come comitato territoriale, come circoli, come comunità, ci dissociamo dalle posizioni di questo Governo che non ci rappresenta.

ARCI Cosenza

FaC

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